Henry Dunant (1828-1910), le origini della Croce Rossa (1863) e l’assegnazione del primo Nobel per la Pace (1901)

Il 24 giugno 1859 Henry Dunant giunse a Castiglione delle Stiviere. Era un finanziere svizzero trentenne impeccabilmente vestito di bianco per difendersi dalla calura, diretto al quartier generale di Napoleone III per parlare d’affari, guerra o non guerra: era in corso la battaglia di Solferino e San Martino della seconda guerra d’indipendenza che vedeva da una parte il Regno di Sardegna con la Francia e  dall’altra l’Austria. 

Era nato a Ginevra, in Svizzera. Il nonno era direttore di un ospedale. Austera era stata la sua educazione protestante, in un clima di risveglio evangelico e di commossa filantropia, crebbe in collegio. A diciott’anni si iscrisse alla benefica Società delle elemosine e visitava gli ammalati nelle loro soffitte per portare loro qualche soccorso. Scriverà più tardi “che un uomo da solo è impotente davanti a così grandi sventure e che per poter recare qualche sollievo, è l’intera umanità che deve scendere in campo per lottare contro la miseria nera”.

A vent’anni passava le domeniche pomeriggio in carcere per leggere ai detenuti buoni libri di viaggi, storia, scienze. Si impiegò presso un agente di cambio e fu spedito in Algeria: l’Africa mediterranea lo appassionò per le grandi opportunità di sviluppo economico che offriva. Chiese larghe concessioni di terre nel distretto di Costantina costituendo la Società anonima dei mulini di Mons-Djemila e per motivi burocratici coloniali quel giorno inseguiva l’Imperatore dei Francesi. Dunant non visitò il campo di battaglia ma lèsse negli occhi e nelle frasi sconnesse dei reduci lo spettacolo di desolazione di quell’alba del 25 giugno. Cadaveri sparsi dovunque, feriti dissanguati e gementi di cui nessuno si prendeva cura e che talora venivano finiti da sciacalli umani che li spigliavano d’ogni misero oggetto. Brandelli di uniformi, fango e sangue incrostavano le loro piaghe infette e la sete li tormentava ferocemente, pazzi di dolore e di disperazione. Solo la solidarietà dei commilitoni e la pietà dei civili consentiva il trasporto di quelli che ancora respiravano, su muli o carrette verso i vicini villaggi.

Si prodiga ad assistere e confortare, incoraggia la popolazione a dar soccorso, dissetare, umettare le piaghe; manda la sua carrozza a Brescia e ne riporta bende, medicine, limoni e tabacco. A Napoleone III non parlò ma tutta la sua vita ne sortì mutata nel profondo. Suggerì l’istituzione di un labaro, un segno distintivo sacro che tutelasse i posti di soccorso dalle offese belliche. Sul Journal se Genève scrisse un appello fornendo le cifre della tragedia. Nel 1861 si ritira a Ginevra e scrive “Un ricordo di Solferino” per rivelare all’Europa l’atroce verità del campo di battaglia, non per descrivere la battaglia che non vide ma per denunciare la disumana tragedia dei feriti. Pubblicato nel 1862 e inviato a sovrani, statisti e personaggi eminenti, il volumetto fu accolto dall’Europa con commozione. Includeva un appello all’azione: costituire delle società di soccorso il cui scopo fosse quello di far curare i feriti in tempo di guerra da volontari qualificati.

Fin dal 1848 Ferdinando Palasciano, medico di Capua, aveva rivendicato la neutralità dei feriti, da considerare sacri a prescindere dall’esercito di appartenenza e non considerabili nemici, cosa che gli costò una minaccia di fucilazione e un anno di carcere. Dunant investì nella questione la Società ginevrina di pubblica utilità: nel 1963 si pone all’ordine del giorno il problema dell’aggregazione agli eserciti belligeranti di un corpo di infermieri volontari. Al congresso internazionale di statistica di Berlino, che aveva una sezione si statistica medica, auspica che ogni governo si impegni ad assicurare protezione ai feriti, sia riconosciuta la neutralità del personale medico militare e volontario, siano favoriti durante le ostilità i trasporti di personale e materiali sanitari in zona di guerra. Segno distintivo uniforme sarebbe stato la croce rossa in campo bianco, cioè il vessillo svizzero a colori invertiti ma anche l’antico vessillo candido di tregua insignito del simbolo cristiano.

Venne redatto un documento definito atto irreversibile che sancì la nascita della Croce Rossa internazionale. Per legalizzare sul piano internazionale quelle iniziative occorreva un Congresso diplomatico convocato nel 1864 a Ginevra per discutere e sottoscrivere la convenzione per migliorare la sorte dei feriti delle armate in campagna. La firma del basilare documento ebbe luogo il 22 agosto 1864, seguita negli anni da adesioni e ratifiche in tutto il mondo. Nel 1865 a Bruxelles apparve la prima rivista dedicata a “La carità sui campi di battaglia”.

Nel 1876 la Turchia istituì la parallela struttura della Mezzaluna Rossa, nel 1923 l’Iran quella del Leone e sole Rosso. A Ginevra è sempre rimasto il Comitato internazionale della Croce Rossa. Dunant trascurò l’amministrazione del Credito ginevrino portandolo al fallimento e, dimessosi, visse oscuramente a Parigi. Nel 1870 allo scoppio della guerra Franco prussiana, propone all’imperatrice Eugenia la neutralizzazione di alcune città franche per accogliere malati e feriti. Nel 1871 col crollo dell’impero Napoleonico subirà i patimenti dell’assedio di Parigi. Vive in estrema povertà ma la passione umanitaria lo porta a promuovere una conferenza internazionale permanente per la pace, una corte di arbitrato internazionale (istituita all’Aja nel 1921). Nel 1887, malato, rientra in Svizzera e viene accolto nell’ospedale distrettuale dove trascorrerà gli ultimi diciott’anni della sua vita.

La sua alta coscienza ammonitrice lo porta a scrivere drammatiche anticipazioni sulle future catastrofi dell’Europa bellicosa e divisa, profezie purtroppo avveratesi. Quando tutti lo credono morto, un giovane giornalista lo scopre e racconta il suo segreto patire. Il papà gli scrive di suo pugno, la Germania indice pubbliche sottoscrizioni, la zarina madre gli assegna una pensione, tutti gli offrono cariche, riconoscimenti e omaggi. Nel 1901 gli viene assegnato il primo dei premi Nobel per la pace, il cui premio Dunant destinerà ad opere umanitarie in Svizzera e Norvegia e all’ospedale del suo ricovero, nel quale volle istituito un posto gratuito a disposizione dei vecchi bisognosi. Mori a 82 anni nel 1910. Secondo le sue volontà il suo corpo venne cremato e le ceneri deposte in una fossa anonima.

Da allora le strutture umanitarie della Croce Rossa si sono moltiplicate in quasi tutti i paesi del mondo col fine di far trionfare la fratellanza umana sopra gli orrori dell’odio e della violenza. Dal 1899 l’assistenza e la neutralità dei feriti si è estesa anche alla guerra sui mari. I principi ispiratori ribaditi nel 1965 a Vienna nella XX Conferenza internazionale della Croce Rossa sono ancora quelli di Dunant: l’umanità, l’imparzialità, la neutralità, l’indipendenza, la benevolenza, il disinteresse, l’unità, l’universalità. La sua meta finale è la pace secondo il motto che suona: “Per humanitatem ad pacem”. Dunant, avventuriero della carità, scrisse: “Esiste nel mondo una solidarietà nella carità umana, nel far del bene, nella fraternità che mitiga le passioni malvagie degli uomini quando si dimenticano che cosa sono, che cosa dovrebbero essere e si scagliano gli uni contro gli altri in gesti che provocano rovina, desolazione, dolore e morte”

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a cura di Agnese Ieva


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