E luce fu

Che luce sia e luce fu, si legge in molte religioni.

E tanto bastava, per rendere affrontabili le durezze della caccia, intiepidire e schiarire le gelide e buie notti ancestrali.

La Luce che da millenni fa stendardo alla vita, alla speranza ed al Divino.

Eppure solo sulla fine del XIX secolo, dopo essere stata ossessivamente venerata e manipolata anche dagli artisti, arrivarono i fisici, non più (o meglio, non ancora) per sfruttarla al massimo bensì per comprenderla. Forse, senza sospettare che stavano urtando un vaso di Pandora, da cui sarebbero fluiti nuovi mirabolanti spunti, tra cui uno tanto pragmatico ed elegante, quanto enigmatico: la meccanica quantistica.

All’epoca, a cavallo tra ‘800 e ‘900, la percezione era di essere arrivati ad un traguardo generale per quanto riguarda le leggi della fisica, le leggi del mondo ed i misteri della natura oramai stavano nel palmo di una mano.  Non si aveva semplicemente rubato il fuoco agli Dei, si credeva di aver sostituito gli Dei grazie al fuoco. Il furto non sussisteva più.

Rimanevano solo piccolezze da sistemare, casi asintotici e particolari condizioni di puro interesse laboratoriale e teorico.

Ebbene questo Titanic di certezza venne elegantemente affondato da un concetto molto semplice, in realtà non così misterioso, che per qualche ironia c’entra col fuoco: la radiazione di corpo nero.

Tutti avranno visto che i metalli quando vengono scaldati sino a diventare incandescenti prendono colore, passando da un rosso scarlatto a un bianco luminescente; effetto sfruttato dalle stesse lampadine ad incandescenza. Ebbene questo principio è lo stesso che rende il Sole bianco-giallo e bluastre alcune stelle ad altissima energia, chiamato “radiazione di corpo nero”.

Corpo nero non perché sia nero ma perché è capace di assorbire (un oggetto capace di assorbire tutti i colori all’occhio umano risulta nero) tutti i colori e tramite il calore (quindi i movimenti dei nuclei atomici) riesce ad emetterli tutti.

Per la fisica classica l’energia di quest’effetto doveva essere “esponenziale” e continua, in altre parole: l’energia di un effetto di questo tipo doveva essere continua ed infinita.

Si scopri che non era così.

Il grafico dell’energia di fenomeno non rappresentava una salita continua e infinita (come descrivevano le equazioni autorevoli della fisica) ma una collinetta, la cui altezza dipende dalla temperatura, con una salita ed una discesa.

Tale discordanza prese il soprannome di “catastrofe ultravioletta”.

A tentare di mettere in ordine le cose venne Max Planck che con un costrutto, o meglio dire magheggio, matematico pose un’equazione che descriveva perfettamente quella collina.

Tale “magheggio” era la quantizzazione: la suddivisione di qualcosa di continuo (l’energia veniva considerata continua all’epoca, era “un’onda”) in tanti piccoli pacchetti di energia stabilita che venivano assegnati dipendentemente dalle qualità della lunghezza d’onda.

Lo stesso Planck non capiva bene perché funzionasse, come mai le equazioni legate alla quantizzazione legassero così bene alla realtà.

Questo costrutto venne comunque criticato ma la sua efficacia divenne in brevissimo testo incontestabile, le analisi sperimentali confermavano questa chiave di lettura.

Fu qui che intervenne il fisico più influente, dirompente (nonché pop) del secolo scorso, Albert Einstein. Esattamente un secolo fa vinse il premio Nobel per aver spiegato un fenomeno già osservato per via sperimentale ed empirica da Hertz ed altri, ma che non trovava una conciliazione con quanto era fino a lì assodato: l’effetto fotoelettrico. Einstein cambiò gli occhiali e consentì una lettura completamente nuova.

È innegabile l’importanza della scoperta dell’effetto fotoelettrico poiché è il punto di non ritorno, l’inizio coscienzioso della fisica quantistica, l’affermazione del concetto stesso di quantizzazione (le sue applicazioni pratiche poi, sono le più varie, come ad esempio il funzionamento alla base delle fotocellule che consentono l’apertura e chiusura delle porte)

Alcuni metalli hanno la proprietà di emettere elettroni se colpiti dalla luce, questo è il succo dell’effetto fotoelettrico.

Potremmo pensare, così si pensava all’inizio, che inondando di energia i metalli (con come unica discriminante il metallo stesso) questi rilasciassero quantità di elettroni proporzionale alla “quantità” di Luce.

Ebbene non era così. A definire il rilascio di elettroni non era la “quantità” ma la “qualità” della luce (nello specifico, la sua frequenza, nonché il colore volendo essere squisitamente pratici) e che anche se si aumentava l’intensità di luce ma si cambiava la “qualità” gli effetti fotoelettrici cessavano. 

A questo punto ci si potrebbe chieder: cosa centra questo con la quantizzazione?

La qualità di un oggetto, di un fotone in questo caso, si mantiene anche diminuendone la quantità. In questo, dimostrando che anche a bassa intensità luminosa ma di una specifica qualità l’effetto avveniva e di contro anche ad altissime intensità ma di differenti qualità l’effetto non sussisteva, si determinava che importava il “quanto”, la qualità della particella e della sua correlazione con l’energia degli effetti.

I quanti avevano qualità e i loro “volumi” erano l’intensità.

La luce, la stessa che emana lo schermo da cui leggete, è un’onda e una pioggia, un caramello e una presa di zucchero, una duna compatta, come dopo un diluvio, ed una tempesta di sabbia. 

Aver capito questo, ha spiegato le ali della fisica contemporanea: la natura corpuscolare delle cose, inclusa la meno intuitiva come tale ovvero il fascio luminoso, ha scomodato altri geni, ha dato alla molla ai cervello che erano pronti a saltare, per dare all’umanità una nuova occasione di aprire gli occhi di meraviglia e la bocca per lo stupore, a fronte di un mondo che tendiamo a dare per scontato che invece ha ancora mille pagine da leggere, mille stelle da guardare e mille lingue da imparare. 

A volte il genio non si palesa solo nel dare la risposta giusta, ma nel porre la domanda che nessuno si era mai nemmeno posto. 100 anni fa, Albert Einstein con l’umiltà di un bambino e la l’incoscienza di un giovane genio ha ribaltato il tavolo, ponendosi le giuste domande (vedi la Relativa generale) e provando a dare una risposta. Noi oggi, siamo ancora qui, seduti sulle sue spalle, ad ammirare l’orizzonte di questo strano mondo, che allo stesso tempo è onda e particella, è cielo e terra, planando a un metro dalle certezze sulle ali della fantasia; la fantasia di un genio, che scuote tutti noi.

Luca e Tommaso

Bibliografia:
Lezioni Universitarie, “La Realtà non è come appare” C. Rovelli
Wikipedia “Corpo Nero” “Effetto Fotoelettrico”


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